Telelavoro e lavoro ibrido: gli studi e i disturbi muscoloscheletrici

Sono ancora pochi gli studi sulle implicazioni per la SSL del lavoro ibrido dell’era post-pandemica e spesso gli studi non tengono sufficientemente conto della complessità delle diverse situazioni lavorative e dei fattori contestuali. E in effetti, il lavoro ibrido comporta l’alternanza di due luoghi di lavoro molto diversi in termini di ambiente di lavoro, gestione e organizzazione del lavoro, diversità che influiscono sull’esposizione al rischio del lavoratore. Pertanto, i modelli di lavoro incentrati sull’ufficio sono suscettibili di esporre i lavoratori a rischi analoghi a quelli del tradizionale lavoro d’ufficio a tempo pieno, mentre i modelli “remote-first” sono simili al telelavoro. Anche il fatto che il lavoro a distanza sia svolto in modo isolato o che sia organizzato in modo da promuovere la creazione di un team, avrà un’influenza importante sull’esposizione a possibili rischi.

Alcuni studi riguardano il comportamento sedentario.

Si indica che il lavoro ibrido riduce gli spostamenti attivi da e per il lavoro e l’uso intensivo delle tecnologie digitali aumenta i comportamenti sedentari promuovendo l’esecuzione di compiti prevalentemente cognitivi e visivi svolti in posizione seduta prolungata senza pause (Trott et al., 2022; Bloom et al., 2023). Se poi il lavoro in sede è meno sedentario, quando privilegia le riunioni o il lavoro collaborativo piuttosto che il lavoro al computer, con l’aumento della percentuale di telelavoro nel lavoro ibrido, aumenterà il rischio di lavoro sedentario, con prevedibili conseguenze potenziali sulla salute.

Riguardo poi ai disturbi muscoloscheletrici si sottolinea che il lavoro sedentario al computer – a casa e in ufficio – è fisiologicamente caratterizzato da un’attivazione prolungata a bassa intensità dei muscoli posturali (collo, spalle, parte superiore e inferiore della schiena) combinata con movimenti fini delle mani (Tavares, 2017; Roquelaure, 2018, 2021). E queste attività prolungate senza pause attive possono scatenare sindromi dolorose muscolari non specifiche, localizzate o regionali, a livello del collo, del cingolo scapolare o della parte superiore e inferiore della schiena (Roquelaure, 2018; EU-OSHA, 2020c; Dzakpasu et al., 2021).

Sebbene gli effetti del telelavoro sui DMS non siano coerenti in letteratura, sembra emergere un aumento del rischio di dolore cervicale e lombare in relazione a fattori organizzativi ed ergonomici.

Si segnala poi che i principali fattori di rischio legati al telelavoro, in relazione ai disturbi muscoloscheletrici, come riportati nella letteratura, sono legati all’ambiente di lavoro (ad esempio, abitazioni prive di locali adatti al telelavoro, minore comfort e minore ergonomia a casa rispetto all’ufficio in sede), a fattori fisici (ad esempio, maggiore sedentarietà, posture inadeguate), a fattori psicosociali (ad esempio, maggiori richieste quantitative, minore controllo del lavoro) e a fattori individuali (ad esempio, maggiore carico fisico dovuto alle faccende domestiche).

I possibili rischi nel lavoro ibrido: stress oculare digitale

Il documento si sofferma anche sullo stress oculare.

Il lavoro al computer può portare ad uno stress oculare digitale (digital eye stress – DES) sia in ufficio che a casa (Kaur et al., 2022). E questo stress oculare è caratterizzato da sintomi di affaticamento visivo (ad esempio visione offuscata, difficoltà di messa a fuoco), irritazione oculare (ad esempio prurito, sensazione di secchezza oculare) e maggiore sensibilità alle luci intense. La DES è spesso associata a mal di testa o dolore al collo (Kaur et al., 2022). Sebbene manchino studi sul lavoro ibrido, si può prevedere un’alta prevalenza di DES, soprattutto quando il lavoro nei locali del datore di lavoro è anche un lavoro d’ufficio dedicato esclusivamente al computer.

Si ricorda che la DES è favorita da un ambiente di lavoro inadeguato, sia a casa che in ufficio (ad esempio, mancanza di attrezzature ergonomiche adeguate, spazio insufficiente a casa, presenza di riflessi sullo schermo, illuminazione inadeguata dell’area di lavoro, schermo mal posizionato, distanza occhio-schermo troppo breve, scarsa qualità dell’immagine, …).

Si ricorda poi che alcune caratteristiche individuali (ad esempio l’invecchiamento, i difetti visivi non rilevati o non corretti) o le lenti correttive non adatte alla distanza visiva durante il lavoro al videoterminale possono essere anch’esse fonti di affaticamento visivo.

I possibili rischi nel lavoro ibrido: rumore e qualità dell’aria

Ci può essere anche un rischio di esposizione al rumore.

Nel lavoro ibrido l’esposizione al rumore ambientale viene valutata positivamente o negativamente a seconda della situazione di telelavoro.

Alcuni telelavoratori riferiscono un miglioramento dell’ambiente acustico quando lavorano da casa, rispetto al lavoro nei locali del datore di lavoro, mentre altri parlano di un peggioramento dell’ambiente acustico, in particolare quando la casa è rumorosa, o a causa della presenza, durante il lavoro, di familiari o coinquilini.

Il documento si sofferma anche sull’uso di auricolari e cuffie e sulla pressione acustica nelle piattaforme di teleconferenza se utilizzate per periodi prolungati e senza pause.

In effetti il lavoro ibrido implica generalmente un aumento del tempo trascorso in riunioni virtuali, webinar e simili, anche quando ci si trova nella sede del datore di lavoro.

Altre indicazioni riguardano poi la qualità dell’aria.

Si segnala che una eventuale scarsa qualità “ambientale” del lavoro in casa (ad esempio, umidità, cattiva circolazione dell’aria, temperatura troppo alta/bassa, illuminazione inadeguata) può portare alla cosiddetta “sindrome della casa malata” (sick house syndrome) con sintomi di irritazione degli occhi e delle vie respiratorie, irritazione della pelle, mal di testa, affaticamento e scarsa qualità del sonno, oltre a un calo delle prestazioni lavorative (Ekpanyaskul et al., 2022).

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del documento che si sofferma su altri rischi (rischi fisici, disturbi del sonno, cattive abitudini alimentari, …) e, specialmente, sui fattori di rischio psicosociale (connessi, ad esempio, ma non solo, al tecnostress).

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